mercoledì 8 febbraio 2012

Recensione Don Turbolento - Attack

Autoprodotto - 2011

Svincolare il termine "intrattenimento" dal termine "superficiale", ostinato ad ottenere sempre più il ruolo di sinonimo diretto del primo, genera spesso frutti interessanti come il secondo lavoro dei bresciani Don Turbolento.
Con "Attack", infatti, possiamo avere un chiaro esempio di come il divertimento possa essere sì un compagno fedele delle fasi di alleggerimento della testa, ma allo stesso tempo riusciamo a comprendere come esso non sia nella totalità dei casi complice del suo svuotamento. In questo modo arriviamo inoltre ad avere tra le mani il basilare primo elemento per additare la validità del disco come discutibile ma non difficile da constatare.
Proprio tramite tale punto si innesca quindi una reazione a catena madre di 10 tracce, le quali sono indubbiamente legate da un fil rouge, ma ben distinguibili l'una dall'altra grazie agli elementi  caratterizzanti. Il secondo fattore idoneo a rafforzare i giudizi positivi, d'altronde, risiede proprio in questa chiave, mostrandoci nel preciso modo un vasto spettro d'azione da cui osservare l'evoluzione dei due "turbolenti". In cosa consiste tale gamma poi è facilmente identificabile e, andando da un'apertura del suono fruibile quanto sperimentale fino a una più concreta consapevolezza  dei propri mezzi, a cui va aggiunta la conseguente palpabile disinvoltura, ci troviamo ad avere tra le mani ingredienti interessanti non solo dal punto di vista  "That’s entertainment" come cantava qualcuno da un Minnelli del '53, ma anche dalla prospettiva di ciò che un disco può cogliere al di là  della sua collocazione.

Notevole sono le influenze DFA, ma altrettanto palese è l'assimilazione delle stesse e la ritrasmissione secondo una più personale visione, una sorte, questa, riservata anche alla lecita appropriazione di un seminale passato electro wave '80.

Non tutti gli episodi sono però degni di nota, tuttavia, anche in questi casi va premiata la volontà di scoprire vie sempre differenti e non chiudersi nella buona riuscita di una soluzione stilistica consolidata.
Di voglia di stupire qui, d'altronde, ce n'è tanta e la minimale formazione (synth e batteria) non ha certo nessuna intenzione di tenere questa energia per sé. Gustatevi pertanto la varietà sonora capace di oscillare dall'indie-disco al kraut o dal funky ad un pop trainato da un'attitudine rockettara nel senso dancefloor del termine e ricordatevi che in fondo la musica "non" va capita ma ascoltata (e in questo caso anche ballata).


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