giovedì 1 dicembre 2011

Recensione Il Paradiso degli Orchi - Il Paradiso degli Orchi

Orquestra Records - 2011


Recentemente in quel di Brescia l'immaginario comune sembra aver subito attacchi sostanziali e, grazie ad un combo di quattro persone, gli orchi si svincolano dal loro atavico ruolo fino a trovare nel “paradiso” un luogo confortevole in cui completare l'espiazione.
Ecco qui, quindi, trasposta in 12 pezzi + 1,  l'estensione del concetto di luogo ameno e la condivisione degli spettri personali ormai non più costretti a fluttuare, battere e sbattere solo dentro di noi. Pertanto attenti a voi: maneggiate con cautela il tasto “play”.

“Il Paradiso degli Orchi”, debutto eponimo del quartetto bresciano, infatti, ci trascina subito, mediante una teatrale intro, nel vortice creato da queste cariche libere e, una volta ammessi al suo interno, ci renderemo conto che la dicitura “paradiso” è valida solo per i sobbalzi dell'anima e non certo per l'ascoltatore ormai in piena balìa degli stessi.
Non ci vorrà di fatto molto per sentirsi alla deriva in tale mare in tempesta perché, l'eterogeneità di questo lavoro, rende omaggio e trae forza proprio dallo sballottamento delle sue atmosfere.
Dal canto loro l'impegno in tale senso è ben strutturato in quanto: da una matrice prog-rock surrealista, innestata tra i '90 e più recenti giorni, si passa senza esclusione di colpi ad una mole di generi non sempre tollerabili dal processo metabolico di un unico individuo.

Così, prendendo per mano pennacchiane memorie, ci immergiamo tra psichedelia lisergica, cenni post-rock, aperture melodiche, slanci tribali, attitudine metallica, profumi doom e strizzate d'occhio sintetiche, tanto che nel complesso navigar ci è dolce in questo mare fino a trovare una privata serenità.

Buone notizie, quindi, provengono dal fronte I.P.D.O, ma i tasti dolenti sono sostanziosi quanto i punti a favore. In primo luogo tra i contro troviamo una cospicua mancanza di direzione facendo perdere in questo modo le tracce della personalità motore in un risultato finale sì eterogeneo e godibile ma al confine con il meno piacevole caos. Andando avanti poi trovano spazio l'uso di un inglese stridente, interpretazione non sempre convincente e i cambi di passaggio da un'atmosfera all'altra non sempre all'altezza della situazione.

Insomma, per ora il primo dado è tratto. Le porte sono ufficialmente aperte e pronte ad accogliervi. Volete entrare?.




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